La violazione del diritto del malato alle c.d. terapie palliative costituisce un danno non patrimoniale risarcibile

La violazione del diritto del malato alle c.d. terapie palliative costituisce un danno non patrimoniale risarcibile
26 Ottobre 2017: La violazione del diritto del malato alle c.d. terapie palliative costituisce un danno non patrimoniale risarcibile 26 Ottobre 2017

Le c.d. cure palliative sono state definite dalla ESPC (European Society Palliative Care) come “la cura attiva e globale prestata al paziente quando la malattia non risponde più alle terapie aventi come scopo la guarigione”.

Queste consistono nel controllo del dolore nonché dei problemi psicologici, sociali e spirituali conseguenti alla malattia e sono finalizzate a preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla sua fine.

Il diritto alle stesse, quindi, attesa la loro fondamentale importanza, trova copertura costituzionale negli artt. 2 e 32 Cost., oltre che nella legge ordinaria 15 marzo 2010 n. 38, e la sua violazione provoca un danno non patrimoniale che deve essere risarcito.

Questo diritto è stato oggetto di molteplici pronunce tra cui, da ultimo, la sentenza n. 20018/2017 emessa dal Tribunale di Bologna, sez. III, giudice Dott. Daniele Martino.

Nel caso di specie, gli attori avevano convenuto in giudizio alcuni sanitari al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del danno, iure hereditatis e iure proprio, per non aver somministrato al loro compianto congiunto, affetto da leucemia linfatica cronica, i farmaci palliativi necessari a limitarne la sofferenza fisica e psichica.

Il Tribunale, richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sent. nn. 16993/2015, 11552/2014 e 23846/2008), ha accolto la domanda risarcitoria, affermando che “l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, sul quale sia possibile intervenire soltanto con un intervento cosiddetto palliativo, determinando un ritardo della possibilità di esecuzione di tale intervento, cagiona al paziente un danno alla persona per il fatto che, nelle more, egli non ha potuto fruire dell’intervento e, quindi, ha dovuto sopportare le conseguenze del processo morboso e particolarmente il dolore, posto che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto, sia pure senza la risoluzione del processo morboso, alleviare le sue sofferenze”.

Il Giudice ha poi ricordato che “il diritto dei pazienti ad ottenere l’intervento palliativo è stato cristallizzato nella l. n. 38/2010 la quale all’art. 1 ha posto un obbligo a carico delle strutture sanitarie consistente nell’assistenza dei malati e ai famigliari per la tutela della dignità e dell’autonomia del malato e la tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine”.

Alla luce delle citate previsioni costituzionali e di legge ordinaria, pertanto, i sanitari convenuti avrebbero dovuto sottoporre il paziente alle necessarie terapie palliative che, ancorché non utili ad evitarne il decesso, gli avrebbero potuto assicurare ben minori sofferenze nell’ultimo periodo della sua vita.

Ricordiamo da ultimo che l’importante tema delle cure palliative e della terapia del dolore è stato oggetto della recentissima proposta di legge, approvata dalla Camera dei Deputati in data 19 ottobre 2017 ed ora all’esame del Senato, che vorrebbe consentire ai medici di prescrivere pure medicinali di origine vegetale a base di cannabis proprio allo scopo di alleviare le sofferenze dei malati terminali.

Altre notizie